Dopo due settimane dal lancio ho deciso di dire la mia sull’ultima fatica di Rare

Buongiorno, o buona sera, da ovunque voi leggiate. Scrivo questo messaggio in bottiglia per raccontarvi alcune delle avventure che ho vissuto solcando il Mar dei Caraibi a bordo di una nave pirata, quasi sempre con una ciurma diversa.

Potrei raccontarvi di quando mi ritrovai con il temibile e vanitoso Thor, un capitano di origine Norrena che amava farsi chiamare col nome del figlio di Odino e che ne sapeva una più del diavolo in fatto di battaglie navali. Una volta ho sentito che qualche mozzo si rivolgeva a lui con il nomignolo di “Trecentosessanta”. Quando chiesi il perché, mi dissero che un occhio gli era saltato fuori dalle orbite appena dopo essere ruotato di 360 gradi quando venne stritolato da un tentacolo di Kraken e che subito dopo per la rabbia si immerse a nuoto fino a raggiungere il volto della bestia fissandola con l’unico occhio rimasto e giurandogli vendetta. Oppure potrei narrarvi del fascinoso Kri, un pirata dalla folta chioma bionda che tra una scorreria e l’altra amava ammaliare le donzelle ad ogni avamposto. Apparentemente un innocuo dongiovanni. Ma quando prendeva il timone tutta la fregata sembrava animata da uno spirito soprannaturale. Gli avversari lo conoscevano come “Kri Evil”, il pirata dannato: bello e letale come l’inferno. Si diceva che fosse tornato dall’oltretomba dopo aver stretto un patto con il traghettatore di anime e che da allora ogni nave, piccola o grande che sia, gli obbedisca come posseduta dalla sua stessa anima. Oppure perché no!? Perché non parlare della bella e inarrivabile Mouse? Non aveva il classico appeal della donzella da avamposto, ma si sa, in un mondo di ladri e corsari una donna attira gli uomini come il miele con le mosche. Ma lei conosceva bene il suo fascino e sapeva altrettanto bene come sfruttarlo a suo vantaggio. Una volta avvelenò una intera ciurma, un pirata dopo l’altro senza che se ne accorgessero, per rubare tutti i tesori che avevano depredato. Da allora si acquistò il rispetto degli altri pirati e le venne affibbiato il soprannome di “Venom”. Conobbi moltissimi pirati durante le mie scorribande, ognuno con la sua storia e le sue caratteristiche.

Perché vi racconto tutto questo? Perché spero di riuscire passare un messaggio importante sull’ultima fatica Rare. Se non lo si fosse capito, vorrei spezzare una lancia in favore di Sea of Thieves. Perché Sea of Thieves è proprio questo: un grandissimo contenitore di storie che aspettano solo di essere vissute.

 

Una canzone in compagnia è quello che ci vuole per siglare l’epicità di una avventura nel Mar dei Caraibi

Non è il classico gioco di ruolo

Ricordate lo stupore dei primi giochi “free roaming”? Quando i primi Grand Theft Auto sembravano offrire possibilità pressoché illimitate, o i Final Fantasy davano la sensazione di poter portare avanti la storia nel modo che più ci fosse congeniale. Non so voi, ma io non ho mai avuto tanta fretta di portare a termine un gioco. Sono uno di quelli che se non terminano prima le missioni secondarie non si azzarda a proseguire nella storia principale per paura che la trama porti il mondo di gioco ad una variazione irreparabile, rendendo impossibile recuperare le quest lasciate indietro. Eppure non ho portato a termine moltissimi giochi, forse proprio per la monotonia di alcuni obbiettivi che semplicemente si ripetevano nel tempo. Potete immaginare ad esempio la frustrazione nel completare una missione secondaria in Skyrim per poi ritrovarmi con altre 3-4 nuove missioni acquisite lungo il percorso. Ho giocato circa 200 ore a quel gioco prima di scoprire che le quest secondarie si auto-generavano in maniera procedurale. A quel punto ho dovuto modificare, facendomi una violenza psicologica inimmaginabile, il mio modus operandi e lasciare indietro il contadino che cercava di avvelenare il sidro di un concorrente in affari, oppure la gilda degli assassini che mi chiedeva di uccidere l’ennesimo NPC senza ottenere nulla se non denaro e qualche pezzo di armatura.

Ecco, prendiamo ad esempio proprio Skyrim: un capolavoro indiscusso, una perla che spicca nel panorama dei GDR assieme a pochi altri titoli. Ma cos’è in fondo Skyrim? Un gioco che seppure offre possibilità apparentemente illimitate, ha una trama principale destinata a terminare. È un gioco per definizione limitato. Le quest secondarie sono infinite, ok, ma si possono continuare ad uccidere personaggi a caso, o a rubare pietre preziose, o ad uccidere bestie, e quant’altro per far sì che il gioco duri in eterno? Io penso che – con un minimo di onestà intellettuale – possiamo affermare tutti il contrario. “Ma forse aggiungendo una componente multiplayer il gioco sarebbe più longevo e divertente”. Ne siamo veramente sicuri? E The Elder Scroll Online? È davvero il gioco definitivo? Anche qui si può affermare – penso di non delirare dicendo ciò che segue – con assoluta certezza che TESO è lungi dall’essere un gioco anche solo minimamente paragonabile alla sua controparte offline. Livelli da scalare, armi da farmare, nemici random da uccidere, luoghi da esplorare, incontri da fare e compagni da salvare. Apparentemente una vagonata di contenuti disponibili. Eppure anche questo viene a noia dopo forse nemmeno un mese di gioco.

Sea of Thieves è un gioco estremamente diverso da quelli appena citati. Eppure riceve le stesse identiche critiche mosse nei paragrafi precedenti, se non più aspre. “Il gioco ha una grave carenza di contenuti”, “L’end game non porta a nulla se non ad altre missioni”, “Le armi sono tutte uguali, cambia solo l’estetica e non le statistiche”, ecc. Benissimo. Rare non avrebbe potuto fare un lavoro migliore.

Le componenti di gioco alle quali siamo stati abituati negli ultimi anni spariscono nel nulla: non ci sono statistiche per armi, navi o “armature” che aumentino la salute o proteggano il personaggio dai proiettili nemici. Non ci sono abilità da sbloccare e il personaggio non sale di livello se non all’interno delle gilde. L’interfaccia utente è ridotta veramente al minimo e non esiste mirino né per le armi, né per i cannoni. Esiste il personaggio. Esiste la ciurma. Esiste la nave. E tanto basta per vivere una nuova avventura in Sea of Thieves.

 

La grafica cartoonesca unita alla fisica realistica del mare e della nave danno vita ad un mondo unico e immersivo

 

La favola delle favole

L’assenza totale di un sistema di progressione richiede uno sforzo mentale non indifferente per quei giocatori che hanno fatto del videogaming un lavoro. Giocando a Sea of Thieves bisogna dimenticare l’end game, la progressione e tutti gli elementi classici ormai consolidati in quasi tutti i giochi. La GDR-mania, che affligge anche il più blando platform per telefoni cellulari, in SoT scompare definitivamente. Si salpa con la propria ciurma, o in solitaria anche, per il solo gusto di farlo. Ogni partita è una fiaba a sé, che ha un inizio e una fine ben precise. Non uno scopo reale, non un preconcetto che obblighi i giocatori a seguire un certo filone piuttosto che un altro. La maggior parte delle volte la partita inizia con una missione buttata sul tavolo e votata assieme ai propri compagni e finisce spesso dopo aver preso una piega ben diversa, magari sul ponte della nave a bere grog e a suonare una stonata melodia marinaresca scivolando sul vomito della sbornia ancora da smaltire. Oppure termina con morte precoce da risata dopo che un compagno di ciurma si è sparato con il cannone ben oltre la scogliera mirata. O ancora a duellare con altre ciurme in sofisticate e tattiche battaglie navali. O perché no? Si arriva a cooperare per la conquista di un forte degli scheletri con altri pirati da tutto il mondo, spiccicando quelle poche frasi di inglese scolastico e sentendosi per questo cittadini del mondo. (Che poi si è mai capito chi è che cerca sempre quella “pen on the table”?)

Tutto questo per dire che quando si gioca a Sea of Thieves bisogna dimenticare la struttura del gioco. Bisogna vivere la vita del pirata nella maniera più naturale possibile. Forse solo così si può apprezzare appieno il vero fulcro del capolavoro che Rare ha voluto creare. Non è un gioco incompleto. Non è povero di contenuti, perché l’aggiunta di oggetti sempre più sofisticati avrebbe snaturato quello che SoT in realtà vuole essere: un grande raccoglitore di storie fantastiche.

Quello che sto cercando di far capire da circa due settimane a chi critica questo titolo (e aggiungo anche che il gioco l’ho iniziato a giocare da più di un anno grazie al programma di alpha testing di Rare) è che Sea of Thieves è tornato ad un concetto talmente arcano di “Gioco di Ruolo”, da risultare troppo innovativo e indigesto per la maggior parte dei giocatori. Ricordate quando da piccoli giocavamo a cowboy e indiani? Ecco, allora bastava magari il rossetto della mamma per fare qualche segno sulla faccia e tanto era sufficiente a giocare e divertirci. Purtroppo le nuove generazioni, cresciute nell’era del digitale, hanno da sempre fruito di storie (a prescindere dal mezzo che la veicola, film, videogioco, o altro) già poste su un binario predefinito e non si può fare altro che assecondarle. Sea of Thieves invece propone un enorme background che aiuta ad immedesimarci nel ruolo di pirati, un mondo fiabesco che attinge alla storia, alla mitologia, a varie opere letterarie e cinematografiche, poche variabili controllate dall’intelligenza artificiale e nient’altro. Il resto è lasciato completamente in mano al giocatore.

Ancora purtroppo è presto per dire che direzione prenderà il gioco: se seguirà la propria linea fiabesca e aperta, oppure se si piegherà alle leggi di mercato nella speranza di rimanere a galla in un mare di squali e sciacalli. A me comunque piace giudicarlo così, nella sua build di lancio, con la sua capacità di non annoiarmi mai e di trasportarmi in un mondo alternativo dai colori sgargianti, dove ogni occasione è buona per sorridere e bere un sorso di grog virtuale o suonare una melodia nostalgica assieme a perfetti sconosciuti. Per me Sea of Thieves è – e spero che rimanga anche con i prossimi updatela favola delle favole.

 

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